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L’artista del nastro adesivo, l’artista che riesce a fare installazioni sorprendenti sia per la strada che in interno con il nastro adesivo o senza…

Tratto da: http://www.meltinpotonweb.com

Introducing Mark Jenkins: l’artista del nastro adesivo

23/09/07 – di Valerio Celletti

Mark Jenkins ha 37 anni, è statunitense ed è ormai avvezzo a leggere il suo nome su siti e blog specializzati in graffiti e street art (come ad esempio sulla bibbia del settore Wooster Collective), ma anche in numerosi altri quotidiani e riviste internazionali come il Washington Post. Il motivo della sua popolarità sono le numerosissime installazioni che realizza facendo sculture in scotch.
Tra le altre, cavallucci da luna park piantati a mezza altezza su alberi, uomini vestiti in ogni dettaglio che spuntano da cestini della spazzatura a gambe all’aria o con la testa conficcata in un muro, enormi giraffe che brucano da un albero nel pieno centro cittadino e tappeti rossi che escono fuori dai tombini oltre a tonnellate di sculture di bambini che piazza negli angoli più incredibili dello spazio urbano. Oltre ad un proprio sito con le immagini, i video ed alcune descrizioni delle sue installazioni, gestisce anche il sito tapesculpture, che contiene tra l’altro una guida domestica alla realizzazione di questi oggetti in nastro adesivo.

Mark racconta che nei suoi trascorsi sulle Ande da scalatore (un’altra delle sue singolari passioni) era seriamente disgustato dalla quantità di rifiuti di plastica trasparente (bottigliette e simili) lasciati dai turisti negli ambienti naturali, creando un disagio in lui. Curioso constatare come ha risolto questo conflitto interiore: semplicemente sfottendolo. La prima opera uscita dalla sua casa è stato uno spermatozoo di scotch lungo tre metri che ha fatto fluttuare tra le onde della spiaggia di Copacabana, osservando divertito la reazione dei bagnanti. Dopo questa, molte altre: apparizioni delle follie di scotch di Mark sono apparse in Brasile, Stati Uniti, Canada, ma anche in Europa.

Per Mark è stato naturale avvicinarsi al mondo dei graffiti e della street art “per stare vicino a persone con la stessa mentalità, e dalle quali prendere ispirazione”. Non nasconde la sua ammirazione per Banksy, che considera il guru dell’ambito, ma parla della tridimensionalità della propria arte come qualcosa di peculiarmente suo. Trasforma lo spazio urbano in spazio artistico, anche se, prevedibilmente, le sue installazioni non durano a lungo, rubate dai passanti o raccolte dagli operatori ecologici.

Tra le sue opere impossibile non citare The Storker Project, divertente e inquietante allo stesso tempo. Vedere silhouettes di plastica trasparente con la forma di bambini appese a pali della luce, tralicci dell’alta tensione e contenitori per la raccolta differenziata deve fare in effetti uno strano effetto. Perchè proprio i bambini? Perchè, come ritiene Mark, sono un espressione della vita nel momento forse più autentico, nella loro incredibile bellezza e nella altrettanto grande vulnerabilità. L’ambiente naturale dei bambini di Jenkins è proprio lo spazio urbano, ma alcune installazioni di questo progetto sono state fatte su lastre di ghiaccio o nei boschi, dando un effetto di straniamento ancora maggiore; Mark crede che nei nostri tempi l’unica traccia che lascia l’uomo nella natura è la plastica che si lascia alle spalle, e un bambino di plastica circondato da bottiglie nel bel mezzo di un bosco non può che sortire un effetto: far pensare e strappare un sorriso.

Mark ci concede un intervista con entusiasmo e curiosità, rispondendo alle domande via email con una velocità disarmante.

MP: Raccontaci chi è Mark Jenkins. Una tua biografia essenziale per chi non ti conosce.
MJ: Sono nato a Fairfax,VA ,appena fuori Washington DC che è il posto dove sto vivendo ora. Faccio arte part-time e il resto del tempo lavoro in cose non così interessanti (web, aereoporto, guidare camion) ma ideali per prendere una pausa dal fare arte 24 ore al giorno 7 giorni su 7.

MP: Come hai cominciato? Quali sono le tue influenze artistiche principali?
MJ: Andavo spesso e volentieri nei musei e facevo piccole creazioni artistiche ma non ho mai studiato arte in senso stretto. Ho studiato musica e suonato in alcune band (tra cui i Pietasters) per soddisfare il mio lato creativo. Quando vivevo a Rio De Janeiro, un pomeriggio stavo cazzeggiando e mi sono ricordato una cosa che facevo da piccolo: avvolgere oggetti per creare altri oggetti fatti di scotch. Con la differenza che da piccolo, l’insegnante a scuola diceva che erano cose carine, ma che non dovevo sprecare lo scotch in quel modo e comunque che avrei avuto più soddisfazione dai pastelli e dalle matite colorate. A distanza di anni, avevo un appartamento pieno zeppo di creazioni di scotch, alcune delle quali ho deciso poi di piazzare per strada a Rio.

MP: Perchè lo fai? Voglio dire, oltre il divertimento di vedere le facce delle persone.
MJ: Perchè è divertente in sè, indipendentemente dalle reazioni degli osservatori. Alcune installazioni le ho disposte in posti in cui credo che nessuno mai le vedrà. In ogni caso si, specialmente con le sculture iperrealistiche è divertente vedere la gente divertita o spaventata. Mi piace mettere le persone, specialmente nelle grandi città, nella condizione di chiedersi se ciò che li circonda è autentico. Buona parte del mondo è stata rimossa dal suo stato grezzo e sostituita da una gigantesca e troppo lavorata palla piena di immondizia e inquinamento. Non direi che la mia arte cambierà niente di questo, ma senza dubbio è una delle cose a cui penso mentre lo faccio. In ogni caso c’è dell’ironia, non lo nascondo. Mi piace considerarmi un’ambientalista nonostante aggiunga plastica all’ambiente urbano; per la mia filosofia funziona.

MP: Bambini (mi riferisco a The Storker Project) ed animali sono soggetti estremamente comuni nelle tue installazioni. Come mai? C’è un messaggio dietro l’utilizzo di questi “modelli” ?
MJ: Per quanta riguarda i bambini, li considero l’equivalente di una tag nei graffiti. Sono sicuro di essere stato influenzato da artisti come Invader che disegna file di alieni di Space Invaders. I bambini, in ogni caso, sono buoni nella misura in cui sono simbolici di qualcosa di nuovo, in questo caso lo strumento scotch, e anche perchè costituiscono una buona analogia alla propagazione della specie umana. I bambini, fragili e fatti di plastica, hanno un senso distorto, nella misura in cui gli esseri umani non sono naturali al giorno d’oggi rispetto a cento o mille anni fà. I bambini sono la vita nel momento più autentico: fragili e incredibilmente affascinanti. Per gli animali stesso discorso – mostrare animali di plastica come fantasmi nel futuro (di quello che diventerà il mondo con tutte le mutazioni genetiche di cui saremo causa).

MP: Hai mai fatto installazioni in Italia? Cosa ne pensi della scena italiana per quanto riguarda questo tipo di arte?
MJ: Sono stato a Milano e ho fatto un paio di installazioni lì. In patria ho anche conosciuto artisti italiani veramente validi come Ericilcane e Blu.

Creatività? Divertimento? Provocazione? Con ogni probabilità tutte e tre le cose. Il dato di fatto è che l’arte convenzionale, l’arte dei musei, dei galleristi e dei collezionisti guarda con sempre maggiore interesse a questa realtà, che è tutt’altro che nuova. Le opere di Bansky ad esempio sono battute all’asta a cifre che invitano a riflettere. Ron Magliozzi, co-curatore del MOMA chiarisce su Vanity Fair U.S ogni ulteriore dubbio: “Non oso paragonare questo tipo di opere a Matisse o Picasso, ma si tratta di artisti di un certo rilievo”. Ipse dixit.

Per ulteriori informazioni e foto delle installazioni di Mark Jenkins, segnaliamo il suo sito.

 

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